Perché brand e aziende dovrebbero comunicare sui social?
Quello dei social networks è il nostro mondo. Un mondo alternativo ma ormai non più virtuale. Il mondo in cui si riversa la comunicazione globale, la pubblicità, le utilities che prima erano “analogiche”, i legami sociali. Il social è la nuova piazza, è chi non c’è, è purtroppo invisibile.
Ecco perché brand e aziende devono assolutamente comunicare i propri valori sui social networks.
Sprout Social ha analizzato le ragioni che spingono i clienti a seguire le aziende sui social, stilando l’Andice annuale 2020 con strumenti “analytics” utilizzati da oltre 23mila agenzie e brand a livello globale.
I risultati dell’analisi sono interessanti e fanno capire quanto sia utile per i Brand investire sulla comunicazione tramite social networks.
Come si comportano i Clienti sui social?
C’è un bel gruppone di follower e fan che diventano clienti, oltre che di clienti che diventano fan. Infatti secondo l’indagine l’84% degli utenti preferisce acquistare i prodotti dei brand che segue sui social network rispetto a quelli “sconosciuti”; il 75% dei consumatori ha intenzione di aumentare la propria spesa proprio dei prodotti dei brand che segue.
I clienti cercano informazioni molto precise nelle pagine social che seguono: quelle su nuovi prodotti o servizi (il 57%) e sulle ultime novità aziendali (il 47%). Poi c’è un 40% di intervistati che dichiara di cercare semplicemente sconti e di intrattenersi. Informazioni interessanti per i brand.
Quali social vanno forte?
Naturalmente, anche causa lockdown, tutti siamo stati più online negli ultimi sei mesi.
Facebook ha la medaglia del social più seguito: il 68% dei consumatori e il 74% dei marketer ha intenzione di investirci più tempo nei prossimi mesi.
Interessante la crescita di YouTube e Instagram tra i giovani, l’87% e l’85% rispettivamente dei ragazzi usa e userà sempre di più questi due social in futuro. Target ben individuabili per alcuni fortunati marchi.
Quali formati sono più accattivanti?
Inutile dire che immagini e video sono i contenuti più visti, secondo l’intervista, con il 68% e il 50% dei voti rispettivamente.
Le Stories, presenti in Instagram e meno capillari negli altri social, “acchiappano” solo il 26% degli intervistati. Apparentemente coinvolgono più i giovani e meno gli adulti. Il vecchio e caro contenuto testuale si posiziona al 30% mentre i semplici post sono al 26%.
I video in live, invece, così usati dai liberi professionisti e giornalisti durante il lockdown, sono solo al 22% delle preferenze. Una modalità “anfibia” che vuole sostituire le vecchie trasmissioni televisive sfruttando la mancanza di intermediarietà, ma che deve anche avere forme professionali per funzionare. Ancora un “NI” per questo formato.
Gli obiettivi delle aziende sui social network
I social network evidentemente sono sempre più pervasivi e le aziende possono sfruttarli per far crescere incredibilmente il proprio business anche online.
Quali sono gli obiettivi dei brand che sempre più comunicano sui social networks? In primis la crescita della propria brand awareness attraverso il proprio target di riferimento, per il 69% dei professionisti intervistati.
Rispondono poi di puntare alla crescita del traffico al sito (il 52%) e all’aumento dell’audience (il 46%).
E’ importante però, come scrivevamo anche nello scorso articolo, mantenere la fiducia conquistata con l’inbound marketing, visto che secondo l’analisi tra le maggiori motivazioni di abbandono c’è la carenza nel customer care (per il 49%) e la bassa qualità del prodotto.
Come funziona l’influencer marketing?
I Social Media hanno stravolto il modo di far qualsiasi tipo di comunicazione – istituzionale, aziendale, politica – e naturalmente anche quella pubblicitaria. Le reti sociali portano online l’autenticità della vita (almeno quella percepita). La curiosità del fruitore e il narcisismo “buono” del comunicatore fanno in modo che i messaggi arrivino anche nei tempi morti, in quelli cioè in cui non avremmo guardato tv, ascoltato radio o sfogliato giornali.
Instagram, YouTube, Facebook, Pinterest e Twitter sono i nuovi canali pubblicitari in cui ogni messaggio può influenzare, oppure in cui una pioggia di messaggi può lasciare indifferenti.
Cos’è l’inbound marketing?
A differenza del tradizionale outbound marketing (l’azienda manda un messaggio destinato al target), questo tipo di marketing tende a farsi trovare dall’utente interessato, attraverso campagne mirate, uso di parole chiave, content marketing, tracciamento e reportistica. Il cliente ideale rintracciato con tutti i mezzi dei social network e di internet va portato così a una call-to-action (CTA), un invito a compiere un’azione che solitamente è di acquisto, ma ancor prima è il semplice “click“.
E ora andiamo a parlare di uno dei “lavori” di maggior successo che gli studiosi di marketing di 20 anni fa non avrebbero mai immaginato: l’influencer.
Come funziona l’Influencer Marketing?
Va così: una persona di particolare carisma o dalla grande massa di “seguaci” (follower) condivide la sua storia quotidiana nei canali sociali. Le storie, banali racconti di vita, eppure quanto più possibili originali, incuriosiscono da sempre. Nelle storie si inseriscono gli Ads, e gli osservatori navigando anche superficialmente lasciano la propria User Experience (UX), ovvero il tracciamento delle proprie preferenze.
Con la UX il semplice osservatore diventa Persona: uno “user” targetizzato, ancor di più rispetto alla precedente pubblicità tradizionale, perchè di lui si conoscono abitudini, ideali, interessi.
I messaggi veicolati in questo modo tramite influencer più o meno famosi rischiano di annoiare e di disinnamorare se lo user ha l’impressione di mancanza di autenticità.
E’ per questo i messaggi veicolati in questo modo hanno bisogno di: storytelling, normalità, stile adatto (“tone of voice“), interazione e ispirazione. Cioè: il marketing serve a vendere, ma non a “vendere fumo”.
Una buona brand reputation nasce dalla qualità, dal contenuto e dallo stile con cui lo si racconta. Una buona dose di normalità, piuttosto che di spettacolarizzazione, della vita dell’influencer, aiuterà la nascita dell’empatia da parte del target. Inoltre, l’onestà nel distinguere i messaggi informativi da quelli meramente pubblicitari con dei hashtag adeguati (come #ad), paga altrettanto. I social come Instagram e Facebook hanno una precisa regolamentazione dei contenuti sponsorizzati.
Ed ecco il primo miracolo: l’engagement, in italiano la fidelizzazione. Un cliente fidelizzato è un cliente contento, una Persona (cliente ideale) che si riconosce nei valori del brand e che è predisposto a diventare follower (il passo sucessivo). Il follower è il seguace che dà valore visibile, cioè monetizza, la potenzialità dell’influencer rispetto all’azienda “inserzionista” (si diceva una volta!). E i followers si stringono in community, che possono essere i blog, i gruppi, le liste o tutto insieme, che sono canali da valorizzare in modo altrettanto consueto.
La Persona poi può diventare “reading Persona” o “buying Persona“, a seconda che si fidelizzi a una rivista o a un blog o che acquisti il prodotto.
Ma soprattutto l’obiettivo dell’inbound marketing è quello di non deludere mai le Personas, di non perdere l’autorevolezza con messaggi fuori target, incoerenti con il brand, o palesemente falsati. Ecco che la serietà manterrà alta la vostra reputazione.